Giorni di protesta in Bangladesh, con manifestazioni concentrate soprattutto nei distretti di Gazipur, Ashulia e Hemayetpur, dove sono ubicati i centri tessili più importanti, poco distanti dalla capitale, Dacca. Dopo il tragico episodio di lunedì 30 ottobre, con lo sciopero collettivo e la fabbrica in fiamme a Gazipur, che ha causato la morte di una persona, l’industria del fast fashion – ma non solo – continua a danneggiare i lavoratori sottopagati. La richiesta dei manifestanti? Salari più equi, che possano raggiungere, perlomeno, un minimo mensile di 23.000 taka (circa 190 euro), una cifra 3 volte superiore agli attuali 8.300 taka, che corrispondono a 70 euro.
Secondo quanto riportato da Internazionale, in Bangladesh, le 3.500 fabbriche di abbigliamento rappresenterebbero circa l’85% delle esportazioni annuali (pari a 55 miliardi di dollari), e rifornirebbero molti nomi di spicco del panorama fashion, tra cui Levi’s, H&M, Gap e Patagonia. A detta dei sindacati locali, inoltre, la misera condizione lavorativa sarebbe diventata insostenibile per i 4 milioni di lavoratori dell’industria tessile, e avrebbe portato all’azione brand come Adidas, Puma e Hugo Boss, che recentemente avrebbero inviato una lettera alla prima ministra Sheikh Hasina, chiedendo adeguamenti delle paghe.
Come riportato da La Svolta, nonostante Faruque Hassan, Presidente dell’Associazione dei produttori ed esportatori di abbigliamento del Bangladesh, abbia promesso che il salario sarà aumentato a partire dal mese prossimo – senza specificare di quanto -, le proteste non si sarebbero fermate, e il paese continua ad essere pervaso da masse di 100mila protestanti che negli ultimi giorni hanno eretto barricate sui viali di Dacca, e in particolare nel distretto di Mirpur.